2 – LA MIA PRIMA VOLTA

di Dario Russo

Ricordo perfettamente quando scrissi la mia prima storiella dell’orrore a mano su un foglio di quaderno. Risale all’estate dell’81, quando vidi il trailer di Quella villa accanto al cimitero di Lucio Fulci. Avevo dieci anni. Impazzii letteralmente quando vidi la sua locandina al cinema San Marco a Caserta, ormai chiuso da molti anni. Mi divertivo a ricopiarla cambiando qualcosa per renderla mia. Risale anche a quell’epoca la voglia di girare un film, ed alle molte storie scritte e riscritte, alcune delle quali ora fanno parte del libro Disturbi di sangue pubblicato dalla Creampie Me Press.

Quel tipo di locandine sul pittorico mi indirizzarono ad un certo tipo di fumetti horror, Oltretomba della Ediperiodici, e molti altri dello stesso genere della Edifumetto, horror imbastardito con sesso e pornografia, talvolta labile da ricordare alcuni film anni ’70 quale Rotte a tutte le esperienze (già citato nell’artico precedente), talvolta invece una semplice storia di mistero.

Questi albi non mancarono di ispirarmi. Badate bene che quando parlo di ispirarmi non significa copiare. Mi riferisco a qualche scena o dettaglio rimescolato in un contesto completamente differente.

Fu uno in particolare, lo speciale Oltretomba (di cui, ahimè, non ricordo il titolo) ad ispirarmi per la mia prima sceneggiatura di 36 pagine scritta con la mitica Olivetti Lettera 22. Non fu l’horror, ma un thriller ad accendermi la miccia.

Avevo già visto qualche film di Dario Argento, ma non avevo ancora visto Profondo rosso.

Avevo già visto molti horror, tutti troneggianti con titoli come La casa di Mary, La casa in fondo al viale, Chi vive in quella casa? di cui Quella villa accanto al cimitero ne faceva parte), e la ripetitività dello stereotipo mise a dura prova la mia resistenza. Benché ne fossi vivamente rimasto affascinato (e lo sono ancora), anche a quell’età avevo percepito che si stava cavalcando una certa onda.

Quell’albo “gigante” di Oltretomba faceva al caso mio. Di quel thriller (che allora chiamavamo “giallo” per via della collana Giallo Mondadori, da tempo tramontata e con essa anche il termine “Giallo” – ci aveva provato Dario Argento col suo omonimo film del 2009 ma gli è andata male, anche perché il suo Giallo non faceva alcun riferimento alla collana), non ne ricordo più la storia. Quella mia prima sceneggiatura andò persa dopo qualche anno, e con essa anche gli amici del parco con cui mi divertii a recitarla. Perché? Perché dopo vidi Profondo rosso, e mi resi conto che quello che avevo scritto poteva essere soltanto una sua brutta copia.

Mi resi anche conto però che un film come Profondo rosso, colonna sonora dei Goblin a parte, sarebbe stato difficile da scrivere e soprattutto da realizzare. Ero sempre un ragazzetto di dodici anni che sbarcava il lunario con le sue fantasie cercando di farle diventare realtà.

La passione mi divorava e ritornai sui miei passi per realizzare un cortometraggio horror che potesse seguire la scia de La casa…Così abbozzai la sceneggiatura di Che succede in quella casa? C’era un piccolo problema: avevamo ancora il Super8. Il VHS era appena balzato sui mercati, ma a prezzi esorbitanti.

Per realizzare il mio film parlai con un noto fotografo della mia città che abitava al palazzo di fronte al mio, e ci conoscevamo di vista. Si mostrò entusiasta all’idea di realizzare un film, ma il suo entusiasmo fu soltanto un bluff, come spesso accadde in seguito in altre occasioni. Non mi persi d’animo. La passione era tanta e con la testa non ci stavo. Dovevo assolutamente realizzare il mio film. Conobbi un certo signor Falco. A lui debbo la mia prima esperienza nel maneggiare una telecamera VHS. Ma il film che ne saltò fuori si rivelò un’emerita porcheria.

Dopo il signor Falco conobbi Michele, un esperto delle riprese. Decisi di lasciare a lui l’onere della telecamera. A quell‘epoca montare un video VHS costava parecchio, e Michele optò per un montaggio in camera. Inizialmente sembrò giocare a nostro favore, poi però le riprese furono penalizzate da questa scelta. Per cui il montaggio, musiche, titoli di testa e titoli di coda furono a cura di un mio conoscente dell’allora Tele Caserta Canale 59, diventata in seguito Odeon TV.

Il film montato e da me musicato con delle melodie improvvisate su una mini-tastiera della Yamaha (era tutto quello che potevo permettermi) ed una chitarra acustica (prestatami da un amico), registrate alla ben meglio su una musicassetta (che nostalgia!), durava circa 15 minuti. L’attore principale ero io. Non volevo farlo. Ma capii che affidarmi ad un altro significava che una volta ci sarebbe stato, e l’altra probabilmente no, anche se le riprese a conti fatti terminarono in un paio giorni. Il mostro era il fratello di un mio compagno di classe alto circa un metro e novanta che, messo a mio confronto, solo un metro e sessantotto, faceva la sua bella figura. Una maschera integrale di carnevale di un teschio con lunghi capelli bianchi “ritruccata” (di questa maschera dovrei avere ancora qualche foto, indossata ad una festa di carnevale con uno smoking), una mantella bianca sporca di sangue, ed un grosso coltello che vibra un colpo, l’ultimo, alle mie spalle.

La trama.
Un ragazzo fa jogging per una strada di campagna arrivando ad una vecchia cascina. Nell’esplorarla, ha come la sensazione di essere seguito da un’entità misteriosa: il mostro. È soltanto quando sta per andare via che alle spalle viene da lui assalito.
Stop. Fermo immagine. Musica. Titoli di coda.

In quegli anni frequentavo il Cineclub Vittoria, ora definitivamente chiuso. La promessa di una proiezione in sala del mio corto (che alla fine non avvenne) mi fece andare in brodo di giuggiole. La negazione dello stesso invece, un’incazzatura che mi portò a cestinare il mio bel film. Sì, avete capite bene: lo mandai a farsi benedire. La delusione e la rabbia fu tanta che non ne volli più sapere. Ancora oggi mi mordo le mani per averlo rinnegato, lasciando che qualche mio amico ed il figlio del gestore del Cineclub ne avessero una copia. Qualche anno fa ebbi l’occasione di poter risentire Italo, il figlio del gestore. Ma non c’è stato modo di recuperare quella copia che ora rimpiango con tanta nostalgia.
Sarebbe stato bello poterlo rivedere assieme.
Peccato!

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