di Dario Russo
I fumetti che leggevo da ragazzetto non erano solo quelli della Edifumetto e Ediperiodici. Certo che l’escamotage dell’horror per nascondere anche il mio primo approccio col sesso fu un espediente che giocò a mio favore in casa. Nessuno sospettava che oltre all’horror quei fumetti contenessero anche erotismo e pornografia.
Appassionato di cinema, un’altra delle mie riveste favorite a quel tempo era Ciak, si gira. L’ultima pagina era dedicata agli annunci dei lettori. Vi ricordo che a quel tempo internet non esisteva ancora. In uno di questi annunci un lettore vendeva la propria collezione del fumetto La tomba di Dracula. Avevo abbastanza soldi e decisi di acquistarla. Insieme agli albi mi arrivò anche un catalogo di fumetti dell’allora a me sconosciuto Alessandro Distribuzioni di Bologna. E con esso mi si aprì un mondo tutto nuovo. Scoprii albi americani in lingua originale, qualche fumetto giapponese a quel tempo non ancora in voga, l’autore Vittorio Giardino con Rapsodia ungherese e Max Fridman a Venezia (il suo narrare è molto cinematografico), e un mini-catalogo dal titolo Wow. E fu grazie a quest’ultimo che scoprii della Scuola del Fumetto a Milano, dove un giorno, senza ancora saperlo, mi sarei diplomato al corso di sceneggiatura.
Ero ancora alle scuole medie. Mi attendevano la ragioneria (scuola scelta da mio padre!) due bocciature al terzo anno (sempre grazie a mio padre!), la chiamata alle armi con servizio di riafferma biennale che all’ora si chiamava volontario a ferma prolungata (sempre grazie a mio padre!), da cui mi prosciolsi dopo sei mesi completando l’anno di leva (grazie a qualche marachella combinata in caserma) durante il quale ne approfittai per recuperare il terzo ed il quarto anno di ragioneria, il quinto con frequenza (ormai la leva era terminata) al termine del quale mi trasferii a Bergamo dove mio fratello lavorava come dipendente pubblico della prefettura.
Non persi tempo. Un treno per Milano, la metro che mi portava a Porta Genova, cinque minuti a piedi ed ecco arrivati in Via Savona al numero 10, sede della Scuola del fumetto, quella che alle medie vidi il quel catalogo di fumetti chiamato Wow. Ben presto la tratta in treno BG-MI mi stancò, e decisi di trasferirmi definitivamente a Milano.
Eravamo in tredici al corso di sceneggiatura. Il nostro docente è stato Antonio Tettamanti, morto lo scorso 29 marzo: un grande. Tra noi allievi c’era anche Diego Cajelli, oggi noto sceneggiatore professionista (il suo CV potete leggerlo su Wikipedia).
Legai quasi subito con Marcello, della mia stessa età, che mi invitò al suo gruppo teatrale di Pero, entrando nel cast di uno dei due diavoli che rincorrevano il protagonista in chiusura. L’esibizione si tenne presso il teatro della chiesa del paese. Finita la recita in concomitanza col corso di sceneggiatura, il gruppo si sciolse e mi ritrovai nuovamente da solo. Probabilmente fu la solitudine ad indirizzarmi nella scelta sbagliata, rinnegando Milano per Bologna, dove mia sorella a quel tempo era dipendente del ministero delle finanze.
Sono ritornato a Milano un paio di anni fa, sostandovi per circa sei mesi. Ho cercato di stabilire quei vecchi contatti maturati durante la mia permanenza a Milano nel’91, e negli anni a seguire facendo spola da Bologna (da Milano effettivamente non mi sono mai distaccato col cuore e con la mente). Sono tornato alla Scuola del fumetto, sempre lì, sempre uguale. Il corso di sceneggiatura non si tiene più da anni e Giuseppe, il titolare ormai alle soglie di 84 anni portati splendidamente, parlai di un progetto poi eclissatosi per forza maggiore.
Marcello, con cui persi i contatti dopo il corso di sceneggiatura, è morto pochi anni dopo, nel ’97, in un tragico incidente che vide coinvolto un camionista colto improvvisamente da infarto che perde il controllo del suo Tir in una rotonda, e va a collassarsi in pieno con l’auto di Marcello morto sul colpo, mentre sua moglie e sua figlia, seduti sui sedili posteriori, restano illesi.
Sono stato alla sua tomba, le cui reliquie giacciono accanto a quelle di sua madre.
Leggo una dedica dei suoi amici, quelli che furono anche i miei amici di quel tempo tanto trascorso che ricordo come fosse ieri: Aldi, Stefano, Cristian, le sorelle Monia e Sabrina, Luca, Nadia, gli Ubaldi (due fratelle ed una sorella), ed altri di cui non ricordo più i nomi e che tanto vorrei ricordare.
Non ho portato fiori con me da poggiare sulla sua tomba. Sono agnostico, e non sono cerimonioso.
Ma quel giorno avrei voluto credere che esistesse davvero una vita dopo la morte. Avrei voluto che Marcello ascoltasse un’ultima volta le mie parole, sicuro di essere rimasto in qualche modo nei meandri delle sue memorie.
Non avrei dovuto lasciare Milano, per questo e molti altri motivi.
Ora basta.
Non mi dilungherò oltre.
Se qualcuno avesse capito di chi sto parlando (non ho intenzione di rivelare il suo nome completo, né tantomeno mostrare una sua foto), lo pianga insieme a me, ed in silenzio.
Grazie.